Barriera Corallina

I coralli dell’ordine Scleractinia sono coralli bio – costruttori di barriere coralline. Queste bio – costruzioni sono gli ecosistemi più diversificati, strutturalmente complessi e ricchi di biodiversità degli oceani. La scogliera corallina è prevalentemente formata da sclerattine e altri organismi bio – costruttori, queste scogliere contengono circa il 25% della biodiversità complessiva degli oceani. Poiché il principale fattore limitante per la crescita dei coralli è la temperatura, che non deve essere mai inferiore ai 18- 20 °C, la maggior parte delle scogliere coralline è collocata nella fascia intertropicale con particolare abbondanza all’ intorno dell’equatore. I reef corallini sono presenti in tre regioni geografiche principali: Indo – Pacifico, Atlantico Occidentale e Mar Rosso; sempre compresi tra il 30° N e 30° S.

La capacità da parte dei coralli bio – costruttori di dare vita alla barriera corallina risiede principalmente in due fenomeni, entrambi di importante entità: la calcificazione e la simbiosi mutualistica con le zooxantelle. Questi due fenomeni insieme contribuiscono a creare uno degli ecosistemi più complessi sul pianeta, infatti se dovessero sparire le barriere coralline, proprio come sta avvenendo negli ultimi anni, si potrebbero perdere una buona parte delle specie marine dei nostri oceani.

Il processo di calcificazione, è rappresentato dalla capacità che hanno le sclerattine di formare uno scheletro calcareo di carbonato di calcio, permette ai coralli di costruire in azione con altri animali bio – costruttori la barriera corallina. La formazione dello scheletro (Fig. in basso) è dipendente da due fattori chiave in ambiente marino, ossia pH e temperatura, infatti entrambi questi due parametri contribuiscono alla corretta calcificazione da parte del polipo. Lo scheletro è composto da cristalli di carbonato di calcio che viene secreto dall’epiderma della metà inferiore della colonna, oltre che dal disco basale. Lo scheletro viene secreto in continuazione dalla parte basale del polipo in due fasi distinte:

  1. una matrice organica che include vari mucopolissacaridi, proteine, glicoproteine e fosfolipidi viene sintetizzata dall’epitelio basale dei polipi, viene secreta nello spazio sub – epiteliale sottostante;
  2. la matrice facilita la nucleazione del carbonato di calcio e fornisce la struttura per i cristalli di aragonite.

Periodicamente il polipo si solleva dalla sua base e secerne una nuova piastra basale al di sopra di quella vecchia creando una piccola camera nello scheletro. Il tasso di crescita è molto variabile da specie a specie, ma ad esempio i coralli del genere Acropora possono crescere anche 10 cm all’anno.

Le Zooxantelle (Fig. in basso) sono dinoflagellati marini che generano una simbiosi mutualistica con i coralli, il nome zooxantella deriva dal fatto che questi organismi vivono all’interno del tessuto dell’animale ed hanno di base una colorazione giallo – dorata (zoo– = animale; xanth = dorato), queste microalghe principalmente appartenenti al genere Symbiodinium, si trovano all’interno del tessuto dei coralli e facendo fotosintesi danno importanti nutrienti al corallo (dal 50 al 95 % del suo fabbisogno) e ossigeno, mentre le alghe ottengono riparo, nutrienti e anidride carbonica per la fotosintesi, ma cosa ancor più importante sono implicate nel processo di calcificazione dello scheletro calcareo. Le zooxantelle effettuando fotosintesi rimuovono anidride carbonica e ammoniaca, come prodotti di scarto dal corallo, e permettono una corretta calcificazione dello scheletro dell’animale. Inoltre, le zooxantelle grazie ai loro pigmenti fotosintetici donano una colorazione molto variegata e sgargiante alle varie specie di coralli.

Le zooxantelle giocano anche un ruolo fondamentale in uno dei processi di degradazione della barriera corallina più impattante deli ultimi anni: il coral bleaching. Un fenomeno che porta allo sbiancamento completo dei coralli, dato dall’espulsione delle zooxantelle, causato da pH acido e temperature troppo elevate, con la conseguente morte dell’animale. Le temperature troppo elevate e il grande irraggiamento solare causato dai raggi UV porta a un sovraccarico del PSII (fotosistema II) delle zooxantelle, il quale viene fotoinibito e iniziando a produrre ossigeno in quantità troppo elevate porta il polipo a rilasciare in acqua le zooxantelle, mostrando il bianco brillante dello scheletro calcareo. Questa condizione stressante porta il corallo a non ricavare più il nutrimento che era assicurato dalla simbiosi con la microalga, e se la temperatura non viene ripristinata nell’arco di poche settimane l’animale è destinato a morire. La conseguenza di questo fenomeno si riflette su tutta la biodiversità che la barriera corallina ha, infatti sparendo i coralli sparirebbero anche tutte le specie associate alla barriera e che senza di essa non sarebbero in grado di vivere.

In questo contesto infatti sia l’acquacoltura che gli acquari sia pubblici, ma anche semplicemente quelli domestici contribuiscono a mantenere una grandissima varietà di coralli e di organismi associati alla barriera corallina, che in futuro potrebbero essere utili per programmi di ripopolamento; che già tutt’ora sono in atto per andare a sostenere la barriera corallina nelle zone dove sta scomparendo o è già del tutto scomparsa.

Analizzando le caratteristiche strutturali dei reef si osserva che essi sono localizzati principalmente in acque basse che oscillano entro i 60 metri di profondità dalla superficie, essendo i coralli ermatipici i principali artefici della costruzione della barriera la distribuzione verticale è limitata dalla profondità alla quale penetra la luce. Le barriere si trovano solo dove l’acqua è particolarmente limpida, quindi un’acqua poco torbida e poco produttiva. Un’altra limitazione è data dalla temperatura dell’acqua, infatti si formano solamente in zone tropicali dove la temperatura del mare non scende mai al di sotto dei 20°C.

Si possono riconoscere tre tipi di barriere coralline in base alla loro struttura ed al loro substrato ad esse sottostante (Fig. in basso) e sono:

  1. scogliere marginali, che sporgono verso il mare direttamente dalla spiaggia, queste di solito circondano isole e bordi di masse continentali e sono il tipo più comune di barriera corallina;
  2. scogliera a barriera, che è separata dalla terra ferma da una laguna con acqua poco profonda;
  3. atollo, è il terzo tipo di barriera corallina, esso poggia sulla sommità di vulcani sommersi, possono essere circolari o ovali con una laguna centrale.

La zonazione di una barriera corallina è legata al fatto che le specie di coralli bio – costruttori sono molte e sono caratterizzate da differenti esigenze fisiche, chimiche e spaziali. Le barriere coralline hanno una zonazione anche molto marcata che dipende principalmente dal tipo di barriera corallina e soprattutto dalle forze oceaniche che incidono sulla barriera stessa (correnti e onde). Generalmente la barriera è suddivisa in tre zone principale come mostra la figura sottostante (Fig. in basso): reef interno, cresta e reef esterno. A loro volta queste tre zono sono suddivise in altre le quali sono caratteristiche e dove troviamo coralli diversi in base all’attività oceanica (onde e correnti).

  • Laguna: essa è delimitata dalla spiaggia e dal reef flat, qui la profondità è abbastanza bassa e anche l’idrodinamismo è ridotto, infatti ritroviamo varie specie di fanerogame marine e formazioni coralline a patch.
  • Reef flat: questa è la zona della barriera più esposta alle forze oceaniche (onde e correnti) ed è anche la zona più esposta alle maree, infatti può rimanere periodicamente esposta all’aria, inoltre protegge la zona della laguna da onde e correnti.
  • Fore reef: è la zona subito dopo il reef flat, qui abbiamo un forte idrodinamismo che favorisce la crescita di coralli principalmente StagHorn e ElkHorn quindi molto ramificati, che riescono a contrastare onde e correnti.
  • Drop – off: questa è la zona nella quale la barriera sprofonda verso il basso, qui non c’è molto idrodinamismo, infatti riescono a crescere coralli tabulari (Es. Acropora hyachintus) o a piatto che trovandosi più in profondità riescono a captare meglio le radiazioni solari.

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